Durante l'ultimo anno siamo stati forzati a riconsiderare il significato di casa. In modi diversi e per motivi diversi, ci siamo trovati faccia a faccia con i posti che, senza pensarci su, davamo per scontato fossero casa nostra. È successo a chi vive in un piccolo appartamento, alle famiglie numerose che dividono poche stanze, ai giovani appena usciti di casa, a chi abita grandi spazi. Nel centro di una città o in mezzo alla natura, ci siamo trovati a interrogarci sugli spazi attorno a noi, su come gestirli e ripensarli. Un presente e un futuro che cambiano implicano il bisogno di immaginare il mondo in maniera diversa, di porsi delle domande e di trovare risposte nuove.
In occasione del Fuorisalone Design 2021, Strategy Innovation, StudioLabo e Fuorisalone.it, insieme ad alcune aziende partner, hanno provato a ripensare a livello pratico il modo di abitare la casa. Il risultato è Il Manifesto dell’Abitare, “uno strumento utile alla progettazione degli spazi domestici del futuro”. Il progetto si articola come un discorso. È la parola a guidarci nel dialogo con la nuova visione degli spazi: “ciascuna stanza è descritta in modo tale da stimolare riflessioni e idee al servizio di architetti, designer e urbanisti”. Il punto di vista è quello di chi non è addetto ai lavori, o almeno non direttamente: “non siamo tecnici di settore né abbiamo la presunzione di fingerci tali, ma siamo consulenti d’impresa indisciplinati, curiosi e affascinati dall’innovazione e dal futuro che, in modo atipico, non vogliono misurare la casa in metri quadri, ma piuttosto in qualità delle relazioni”. Si intende lo spazio non solo come abitato, ma co-abitato, per migliorare, attraverso un ripensamento, la qualità dei rapporti di chi ci vive.
Undici imprese di natura diversa hanno collaborato ciascuna raccontando una stanza. Noi di Morocolor abbiamo contribuito con la descrizione della stanza dei bambini, partendo dalla consapevolezza che, come sostenuto dal pedagogo tedesco Jean Paul, “il gioco è una cosa seria. Anzi, tremendamente seria”. Giocare non significa solo far passare il tempo e divertirsi: significa sviluppare, attraverso le dinamiche rituali, abilità logiche ed emotive necessarie alla costruzione di una società sana.
La stanza dei ragazzi è cambiata in maniera particolarmente incisiva in conseguenza della pandemia. Se prima la loro vita si svolgeva tra scuola, relazioni sociali, eventuali sport e tempo passato all’aria aperta, nell’ultimo anno la maggior parte dei bambini e degli adolescenti hanno dovuto concentrare tutto nei confini di una stanza: lezioni, studio, gioco, attività fisica e rapporti coi coetanei si sono mescolati tra le mura di una cameretta, spesso mediati da uno schermo.
Occorre allora ripensare la cameretta: cosa può servire a un bambino che cresce in questo momento complesso? Marco Moro, presidente di Morocolor, intervistato nel contesto di Manifesto dell’Abitare, ci vede per lo più cose semplici: “un cartello con la scritta vietato entrare, perché è il loro spazio"; naturalmente dei colori “che sono immancabili, come immancabile è la musica, specie in questo periodo complicato,” fondamentale è poi “un computer, per riuscire a relazionarsi con gli altri, e con la scuola soprattutto,” un armadio… “immancabilmente chiuso perché dentro ci sarà il mondo, in una confusione terribile”. Infine una finestra, per guardare il mondo fuori, vedere come cambia e non perdere il contatto con la natura, che continua a essere la cosa più pura e genuina. La cameretta serve anche “per ribellarsi un po’” per avere un luogo dove essere sé stessi, con le proprie riflessioni, i propri pensieri, errori, contraddizioni e soprattutto riflessioni.
La stanza che abbiamo da bambini è più di un semplice posto fisico: è uno spazio che bisognerebbe sempre portarsi dentro, il luogo giusto per prendersi del tempo da soli, per riflettere e tornare alle proprie radici, considerare il proprio percorso e quando necessario ripensarlo.