Dall'Afghanistan all'Ucraina fotografia e design per il cambiamento sociale: Now You See Me Moria

Le origini

Now You See Me Moria è un progetto di fotografia e design nato per sensibilizzare sul tema della migrazione forzata in cui colori, immagini e parole si uniscono per cercare giustizia. è nato nel 2020 da un momento di dolore personale. La fotogrfa e fondatrice Noemi aveva da poco perso l'amore della sua vita a causa delle conseguenze delle migrazioni forzate. Mentre questo succedeva nella sua vita, la pandemia imperversava nel resto del mondo. Allo stesso tempo era accaduto un incidente particolarmente grave nel campo profughi di Moria, in Grecia: un incendio aveva distrutto una porzione del campo dove vivevano più di 12.000 persone. Proprio a causa della pandemia, l'attenzione mediatica sul campo era poca, troppo poca. Durante una notte insonne Noemi ha scoperto grazie a un'amica comune le foto di Amir, un profugo afghano ospite a Moria. Ne è immediatamente rimasta colpita.

Fotografie sul campo per aumentare l'attenzione

"Quando ho visto le sue immagini ho subito capito quello che Amir stava cercando di fare", racconta Noemi. E' entrato così in gioco il suo background fotografico: "volevo aiutarlo a far uscire le sue foto dal suo profilo Facebook" perché il mondo potesse vederle. Le immagini scattate a Moria erano "un modo per gridare al mondo: tutto questo sta ancora succedendo, dobbiamo fare qualcosa!“. Unendo le forze, ci sono riusciti. Il primo passo è stata l'apertura di un profilo Instagram, che è seguito oggi da più di 40.000 persone. Ma l'idea non era fermarsi nel mondo digitale. 

Il poster come mezzo di comunicazione politica 

Dopo circa sei mesi dall'inizio del progetto, Noemi si è ricordata di aver visitato tempo prima una mostra in cui le opere erano basate sul medium dei poster. L'idea per qualche motivo le era rimasta in testa. A quel punto, dopo aver parlato con qualche designer, anche Now You See Me Moria ha iniziato a lavorare con i poster. La combinazione di fotografie forti e design grafico si è rivelata estremamente potente. Dopo poco, NYSM ha lanciato una open call. La risposta è stata incredibile: più di 500 persone hanno inviato le loro idee per poster. L’utilizzo del poster nello spazio pubblico permette anche di andare oltre alle bolle di interesse tipiche del funzionamento dei social: “è vero che avevamo molto seguito, ma si trattava principalmente di persone già interessate al tema delle migrazioni e attive in questo senso". L'idea era arrivare a chi la pensa diversamente: “volevamo confrontare con le nostre storie le persone contrarie all’immigrazione o spaventate dal fenomeno, o informare chi non ci stava pensando". Colori, immagini e parole si uniscono per cercare giustizia. Nell’ultimo anno e mezzo NYSM è stato esposto in importanti musei di tutto il mondo, dal Foam e Stedelijk ad Amsterdam al Weltmuseum di Vienna, al Civa di Brussels fino a Firenze.

Dall'Afghanistan all'Ucraina: far sentire la propria voce

Quando la scorsa estate i talebani hanno occupato Kabul, NYSM si è si è attivato per esporre le storie di chi si trovava nel mezzo dell'emergenza. Invece delle fotografie, in questo caso sono state usate delle illustrazioni. Una scelta fatta per proteggere le identità di chi si era in situazioni di pericolo. Noemi ancora una volta si sentiva direttamente toccata: "il padre di mio figlio è Afghano". Dallo scoppio della guerra in Ucraina, NYSM sta mettendo a disposizione la sua visibilità digitale per riuscire a organizzare aiuti e corridoi umanitari. Sulla loro pagina si trovano informazioni utili per chiunque cerchi mezzi di trasporto o soluzioni abitative una volta raggiunta una destinazione sicura. 

L'obiettivo del progetto, in tutte le sue forme, è quello di risvegliare le coscienze per produrre una pressione sociale: “non cerchiamo eroi, non è una situazione che possa essere risolta da una persona sola. Quello che possiamo fare è ispirare le persone ad agire. Il cambiamento sociale arriverà con il tempo, quando sempre più persone acquisiranno consapevolezza. Educare quante più persone possibile e spingerle a pensare si crea pressione sociale, che poi produce il cambiamento".